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Cento anni portati bene

Domenica 06 Ottobre 2024 15:52 Maria Fanizza
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Cento anni portati bene Fanizza Maria

Fa cento anni oggi 6 ottobre 2024 la radio.

Fu inaugurata alle 21 con un concerto della violinista Ines Viviani Donarelli  La radio i suoi anni  li porta benissimo: sono stimati in 35.252.000 gli italiani che nel 2024 ascoltano una radio durante la giornata. «I numeri oggi mostrano ascolti molto buoni. La radio, inizialmente utilizzata per scopi prettamente politici e militari, ottenne una diffusione più tardiva in Italia, rispetto ad altri Paesi, forse perché tale strumento non venne pienamente compreso, nella sua utilità collettiva, almeno all’inizio.

 Fu  proprio un italiano, Guglielmo Marconi, a percepire la potenzialità della comunicazione senza fili, tanto da essere considerato il padre della radio .

Nel 1896 ottenne in Inghilterra il primo brevetto per la telegrafia senza fili, Nel 1916, grazie allo statunitense David Sarnoff, la radio iniziò a essere pensata come a un mezzo indoneo a trasmettere la musica.

Ma fu negli anni Venti del secolo scorso che divenne, a tutti gli effetti, un importante strumento di massa, pensato per la comunicazione collettiva, diffondendosi negli spazi pubblici e divenendo, quindi, uno strumento di ritrovo per la popolazione.

Durante il Ventennio fascista, però, venne plasmata come strumento di propaganda per il consolidamento del consenso, mentre nel corso del Secondo conflitto mondiale, anche tramite Radio Londra, fu fonte di notizie clandestine, sganciate dal peso del regime.

Con il dopoguerra la radio fu espressione di un’informazione accessibile a tutti e libera da ogni ideologia. nel 1951 trasmise addirittura il Festival di Sanremo in diretta.

Nonostante l’avvento della televisione nel 1954, la radio proseguì la propria storia: cambiarono i modelli, divenendo nel tempo sempre meno ingombranti, iniziarono a nascere delle radio al di fuori della Rai, con un’espansione delle radio private specialmente negli anni ottanta, grazie alla figura del dj.

 

Una storia, quella della radio, che continua ancora oggi, presentandosi come uno strumento per intrattenere il pubblico e soddisfare tutti i suoi gusti, anche in auto e in viaggio, con programmi, dibattiti, podcast, audiolibri, approfondimenti e inchieste.

Per ricordare tale ricorrenza, oggi è stato emesso un particolare francobollo, per la posta ordinaria, che raffigura un traliccio dove convergono le onde radio e il primo logo della Rai.

Il regista Pupi Avati, invece, per l’anniversario ha realizzato il docufilm “Nato il 6 ottobre”, dove viene narrata la storia di una persona nata proprio il giorno dell’arrivo della radio in Italia.

La forza della radio oggi è nella sua ubiquità — non serve più la radio di bachelite dei nonni perché la radio è nei telefoni, nella tv, nel computer — e nella sua presenza in ogni momento, nel senso di complicità quasi “clandestina” che infonde. Questo ne fa un mezzo inimitabile: ridotta alla sua essenza, la radio è una voce che ti parla, e siccome l’ascolti sempre in modalità intima — perché ti accompagna mentre lavori, mentre corri e guidi l’auto — è una presenza che avverti come molto più fisica e presente di qualsiasi realtà digitale. Tante sono state le evoluzioni che ha vissuto insieme alla cultura e al costume del nostro Paese. Dalle visioni futuriste di Filippo Tommaso Marinetti, che nel ’33 vedeva “la Radia” come una forza che affrancava la parola dal gesto e “immensificava lo spazio”, all’innamoramento collettivo di un Paese per la narrazione seriale con “I quattro moschettieri” (1934-38), che fa raddoppiare gli abbonati. Dall’annuncio di Badoglio dell’armistizio dell’ 8 settembre (in diretta da via Asiago) a quello gioioso («Interrompiamo le trasmissioni per una notizia straordinaria. La guerra è finita! ») di un Corrado Mantoni appena ventunenne il 25 aprile ’45. Dalla prima diretta del Festival di Sanremo, nel 1951, alla crisi di identità e di senso che coglie la radio dopo l’arrivo in Italia, nel 1954, della televisione. Sarà nel decennio seguente che verrà trovata la strada più sicura per rivendicare l’autonomia della radio: il lavoro sul linguaggio, sulla vicinanza a chi ascolta e sulla creatività.

Gli anni ’60 e ‘70 vedono infatti l’esplosione di informalità e spensieratezza con cui geniacci — e “zii” ideali e informali degli italiani tutti — come Arbore e Boncompagni, da “Bandiera Gialla” (1965-70) ad “Alto Gradimento” (1970-76), modernizzarono la radio rendendola “pop” nel senso più anarchico e divertente del termine. La radio trova così la sua strada, oltre la dizione perfetta e i testi approvati per essere letti pari pari. Il boom delle radio private a partire dal 1976 fu l’ultimo tocco al quadro, sempre più variegato, che dura tutt’oggi, insieme al consolidamento dei radiocolossi di portata nazionale, che sono oggi, insieme alla Rai, i centri di gravità di questo universo vibrante e alla felice portata di tutte le orecchie.

 

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