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La libertà in scena al Petruzzelli Maria Fanizza
La liberta è una luce in fondo al tunnel, come il trionfo di verità e giustizia, come la forza dell’amore coniugale che tutto sfida e tutto vince. Ma solo grazie a una “ donna”, un’eroina la cui virtù “atterrisce il malvagio”. L’unica opera di Beethoven è un inno all’ideale più puro e più alto in cui il maschile del titolo, Fidelio, non è che una maschera d’opportunità, un obbligato escamotage.Leonore si traveste da uomo per scendere nella prigione in cui da due anni è chiuso, vittima innocente, suo marito Florestan, e salvargli la vita.Capolavoro dalla genesi tormentata, la cui riuscita oggi è testimoniata dalle rappresentazioni nei maggiori teatri all’estero, Fidelio ha aperto la stagione d’opera della Fondazione Petruzzelli, in un clima di eleganza, prestigio e gioia per un’operazione forte e importante dal punto di vista della scelta del titolo, quanto piena e raffinata per la sua realizzazione. La lettura musicale limpida – del direttore stabile dell’Orchestra Stefano Montanari d’intesa col direttore del coro, Marco Medvev, giunto dal teatro di Bonn – hanno reso intellegibile un’opera non facile che, dopo un’ouverture folgorante quanto densa e lunga,antepone un primo atto, che è uno studio di caratteri introspettivo e “ immobile”, a un secondo atto decisamente più dinamico dal punto di vista drammaturgico e musicale.
La scrittura di Beethoven è – si sa – implacabile, e mai si era sentita una tale pulizia di suono soprattutto negli archi. Altrettanto convincente la prestazione del coro, estremamente compatto e sicuro alla prima prova con un nuovo direttore. Il carattere eroico dell’ouverture con cui l’opera si apre cede subito il passo a un linguaggio classico, quasi mozartiano, che guida quel processo di complicata introspezione sottolineata dal buio della scena, qui dominata dall’ingresso della prigione rappresentato come un grande cervello da decifrare. L’allestimento della Fenice di Venezia, essenziale quanto simbolico (con la regia di Joan Anton Rechi ripresa da Gadi Schechter), è funzionale a una lettura che si mette al totale servizio della musica. Quando comincia il secondo atto – con la galleria della prigione definita da quattro archi prospettici luminosi – è chiaro che tutta cambia. Il risveglio di Florestan, accende il dramma , prima della risoluzione annunciata dal celebre motivo della tromba. Il cambio improvviso di Florestan (con Jörg Schneider che ha cancellato per motivi di salute la recita inaugurale) non compromette in alcun modo l’operazione. È stato un puro piacere vedere e ascoltare il tenore americano Ric Furman, specialista del ruolo dotato di smagliante luminosità vocale oltre che di una calzante fisicità. Incantevole tutto il cast con il soprano – dolce e implacabile allo stesso tempo – Helena Juntunen al suo debutto in Leonore, l’arroganza (inutile) di Don Pizarro, il baritono Vito Priante ( Don Pizarro), la nobiltà di Modestas Sedlevcius ( Don Fernando), l’indulgenza paterna di Rocco (Tilmann Rönnebeck) la coppia Marzelline- Jaquino ( Francesca Benitez e Pavel Kolgatin) e le interpretazioni – di Vincenzo Mandarino e Gianfranco Cappelluti, da coristi del Petruzzelli ai panni del Primo e Secondo prigioniero.