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Carlo Verdone, “La casa sopra i portici”
(Edizioni Bompiani, Marzo 2012)
Gilda Francavilla
La casa sopra i portici (Ed. Bompiani, Marzo 2012): questo il titolo che Carlo Verdone dà al suo romanzo autobiografico, al luogo che raccoglie le memorie di una famiglia fuori dal comune, nei ricordi vivissimi, quasi visivi , di una sensibilità del tutto originale e poetica, in un percorso fuori dal comune.
Per chi è di Roma, ma non solo, quel lembo di Lungotevere rappresenta il corollario di alcune tra le passeggiate più storiche e rappresentative di una Roma con una identità ancora fortissima, caratterizzata in ogni sua voce, visione, finestra o vicoletto. E dalla sua finestra, come in un cinema, il giovanissimo Carlo racconta le finestre di Alberto Sordi e di sua sorella Aurelia, suoi vicini, mostra in una carrellata fotografica il campanello che hanno suonato in tanti, con diversi accenti, da Pier Paolo Pasolini a Pietro Germi, Cesare Zavattini, Roberto Rossellini, Alberto Lattuada, Alessandro Blasetti, oltre agli amati Federico Fellini e Franco Zeffirelli.
Tutto il cinema italiano che ha fatto la nostra storia passa in rassegna in quella casa, che era stata data in affitto dal Vaticano alla famiglia Verdone fino alla scomparsa del padre, Mario Verdone, professore e critico cinematografico di prim'ordine, uomo di grande sensibilità e cultura, ma soprattutto padre, la cui assenza diventa lo spunto esistenziale e narrativo per la nascita del libro...
“Quel giorno avevo messo una giacca blu, una camicia bianca, un pantalone grigio e una bella cravatta rosso scuro. Era un gesto solenne che sentivo di dover fare. Volevo essere elegante perché stavo per salutare l’ultima volta un luogo che meritava un profondo rispetto.
Non ricordo esattamente la data, ma era la metà di aprile del duemiladieci. Forse ho rimosso quel numero perchè mai avrei voluto che arrivasse quel momento fatidico. Il giorno in cui avrei dovuto lasciare per sempre la vecchia casa paterna.”
La storia si snoda tra i corridoi e le stanze ormai vuotate della bellissima casa romana, col suo terrazzo che guarda il Gianicolo, un tempo pieno di piante e impregnato dell'odore di cedrina, (che Vittorio De Sica amava masticare per sostituire le sigarette ormai proibite!!) , l'amatissima figura della mamma, cuore e fiamma di quella casa, e l'allegria consumata insieme ai due fratelli più piccoli di Carlo, Luca e Silvia.
Gli scherzi dei bambini, il teatrino, l'alternarsi di tate e cameriere, mentre il tempo romano scorreva sornione, come i suoi gatti, un' infanzia molto amata, e un 'adolescenza definita “il periodo più bello ...quando conoscevo solo la parola vita e non la parola morte.”. Si, perchè come ogni grande comico, Verdone mostra una sensibilità piena di euforia, di gioia di vivere, ma anche un'ombra di malinconia, estremamente poetica e commovente.
L'impressione del lettore è quella di vedere un film scorrere nelle parole e negli sguardi di un'anima estremamente giovane, fresca, ancora intrisa dalle sonorità dei Beatles, dalla musica anni '60 e dal rock, dai suoni metallici che echeggiano dai piatti di una batteria.
É infatti un brano tanto amato da Carlo, Are you experienced di Jimi Hendrix, che come in una catarsi, lo aiuterà, insieme alla pioggia che piange con lui, a fotografare e ripercorrere per l'ultima volta l'amato luogo, ormai certo che nel cuore e nella memoria ogni frammento, ogni ricordo, si è fatto luce, carne, e in nome di ciò può venir regalato anche a noi, può esser scritto.
Nel finale rivediamo tutti i personaggi fin qui conosciuti, vivi e andati, e i loro luoghi, grazie a quella capacità tipicamente romana di accogliere in un istante ognuno nel proprio cuore , e sentiamo in qualche modo di essere entrati anche noi, in punta di piedi, in quello spazio sacro, familiare e filmico, e come in una pellicola aver riso, pianto e amato insieme a quella splendida famiglia e a quella Roma, che nel rumore dei clacson e nei passi distratti della gente, ci manca tanto.
Gilda Francavilla