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La maison de la radio
di Vincenza Fanizza
FIRENZE- Arriva nelle sale, dopo essere passato a “France Odeon”, il documentario “La maison de la radio” di Nicolas Philibert.
Dopo il poetico e suggestivo film “Essere e avere” (2000), in cui Philibert ci mostrava il mondo della scuola e ridava dignità e consapevolezza al lavoro dell’insegnante, ora il documentarista francese ci racconta un nuovo mondo, un universo che vive di suoni e di parole.
Infatti il documentario “La Maison de la Radio” di Nicolas Philibert fa viaggiare lo spettatore all'interno dell'universo radiofonico di Radio France, svelandone i segreti più nascosti.
La casa della radio è infatti l’enorme edificio circolare sito al 116 dell’Avenue du Président Kennedy, nel sedicesimo arrondissement, sede di Radio France, il servizio pubblico radiofonico francese.
Ma come si fa a raccontare, per immagini, la radio?
Philibert ha un metodo molto particolare: cerca di entrare in una realtà e ci rimane per moltissimo tempo, quasi a far divenire la propria presenza impercettibile, parte dell’ambiente, e aspetta che qualcosa succeda. Non avere la garanzia del risultato è da sempre “l’atout” del cinema documentaristico di Philibert che, non volendo in alcun modo alterare quanto osserva, si rimette alla casualità. Anche in questa occasione conferma quella leggerezza di toni, la delicatezza di tocco che abbiamo ammirato negli altri lavori.
Philibert, dunque, questa volta, “abita” per molti mesi la sede di Radio France: ne percorre i corridoi, ne spia gli animatori e gli ospiti maneggiando con sensibilità una camera mobile ma mai invasiva. Dal più anonimo dei presentatori a star internazionali come Umberto Eco, tutti coloro che danno vita all'esperienza di Radio France diventano così protagonisti, parte di un affresco collettivo ricco di sorprese. Ventiquattro ore nella vita di Radio France, da un’alba all’altra.
“La maison de la radio” è dunque un viaggio nel cuore della radio per scoprire ciò che di solito sfugge al nostro sguardo: i misteri di un supporto la cui vera e propria materia rimane invisibile.
E’ lo stesso regista a sottolineare questo aspetto, si ama la radio perché la sua “invisibilità ci permette di identificarci idealmente con chi sta parlando e, senza aver bisogno di uscire di casa, ci permette di viaggiare su terra, mare, in tutti gli strati della società, in ogni sfera del pensiero e dell’attività umana”.
“La maison de la radio” non è, come si potrebbe pensare, un documentario per gli “addetti ai lavori” ma è, invece, un bellissimo film per tutti perché anche quest’ultimo lavoro di Philibert, come tutti gli altri, ci racconta gli sguardi, i volti, l’allegria, la serietà, la professionalità, la dignità di un lavoro.
Infatti anche questa volta il regista francese è riuscito a cogliere e rappresentare “la magia” di un mondo e a rendere universale “l’umanità” di un gruppo di persone.