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Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera della giornalista Caterina Ceccuti, una giovane mamma, autrice del bellissimo libro "Voa Voa!", ancora fresco di stampa, pubblicato dalla Casa Editrice Le Lettere.
Gentile Redazione,
sono una collega di Firenze. Soprattutto però sono la mamma di Sofia, una bambina di appena 3 anni e mezzo, da 2 affetta da Leucodistrofia Metacromatica. Si tratta di una malattia neuro degenerativa con esito infausto, che non prevede cure di tipo farmacologico e che si manifesta non prima dell'anno e mezzo di vita. Fino ad allora i bambini sono completamente sani. Dopo i primi sintomi, nel giro di pochi mesi, diventano invalidi al cento per cento.
Insieme alla mia giovane famiglia siamo da mesi invischiati nelle orribili vicende di tipo giudiziario che ruotano intorno al triangolo Cure Compassionevoli- Spedali Civili di Brescia- Tribunale del Lavoro, questo perché grazie al blocco dell'Aifa il protocollo d'intesa che legava gli Spedali Civili alla fondazione Stamina (produttrice di cellule staminali mesenchimali che si sono dimostrate efficaci in casi di neuro-degenerazione) è stato interrotto. Ecco perché per ogni singolo paziente si è reso necessario fare appello al Tribunale del Lavoro di pertinenza nella propria città, pur di ottenere quella che a tutt'oggi sembra essere l'unica forma di cura efficace per migliorare la qualità della vita di molti pazienti affetti dalle più disparate malattie degenerative. Non sto qui a ripercorrere l'annosa vicenda del protocollo d'intesa firmato tra Stamina Foundation e Spedali Civili di Brescia nel 2011, i giornali ne hanno ampiamente parlato nel corso dei mesi passati, a partire dal "Caso Celeste Carrer" che ha ufficialmente aperto la strada alternativa dell'ex articolo 700 per aggirare in tribunale il problema del blocco di Aifa. Le perplessità che condivido con alcuni (pochi per fortuna) genitori e che lamento oggi in questa mia lettera aperta al vostro giornale, riguardano il fatto che le suddette cure compassionevoli vengano somministrate ad alcuni bambini piuttosto che ad altri, con l'unica discriminante del potere decisionale di un giudice del lavoro che non solo non ha competenze
specifiche in materia di staminali (com'è logico che sia perché non ha studiato medicina), ma che senza averne neppure piena consapevolezza si trova in molti casi a dover decidere sulla vita o sulla morte di piccoli pazienti malati terminali. Ebbene, la mia Sofia appartiene alla ristretta cerchia degli sfortunati, quelli cioè a cui il tribunale ha negato la cura con Protocollo Stamina. Sofia aveva avuto la possibilità, dopo rocambolesche imprese da parte mia e di mio marito, di ottenere la prima infusione in data 10 dicembre 2012. Poi -occorrono 30 giorni perché le cellule attecchiscano e diano qualche effetto benefico- a distanza di un mese e mezzo abbiamo riscontrato un miglioramento delle condizioni generali della piccola, che prima dell'infusione stava per morire in preda ad un violentissimo vomito di origine neurologica. A Natale pesava 8 kg e mezzo. Fino ad una settimana fa ne pesava 11 e mezzo. Questo a dimostrazione del fatto che la cura (interrotta sul nascere) stava funzionando. Occorrono però almeno tre delle cinque infusioni previste dal protocollo per
stabilizzare i risultati. Infatti, da sette-otto giorni la nostra piccola Sofia ha ricominciato a vomitare e ci aspettiamo di vederla rapidamente degenerare di nuovo. Sofia non solo vomita e dimagrisce a vista d'occhio perché non ha ricevuto la seconda infusione che doveva essere effettuata tre settimane fa, ma per colpa della malattia attualmente è completamente paralizzata, cieca e incapace di esprimersi verbalmente. Chiedo uno sforzo personale di concentrazione per immaginare anche solo un istante cosa significa per un genitore assistere al rapido deterioramento fisico e
mentale del proprio bambino. Con le staminali del protocollo Stamina avevamo ricominciato a sognare quanto meno che riprendesse a deglutire per evitare la PEG o altri tipi di intervento per l'alimentazione forzata. Peccato davvero che il giudice di Firenze abbia negato il prosieguo delle
cure per Sofia, perché la prima infusione aveva inaspettatamente riportato la bambina a muovere lentamente gli arti superiori e a riacquisire il riflesso pupillare. A dirlo non sono io né mio marito o uno dei nonni. Si badi bene che a confermarlo è stata la Neuropsichiatra dell'ospedale
pediatrico fiorentino che ha in cura Sofia e l'oculista del Meyer, Dottor B., il quale il giorno 24 dicembre 2012 -dopo una prima visita- aveva dichiarato la cecità di Sofia. A distanza di un mese, lo stesso medico certifica il miglioramento delle condizioni generali della bimba, in particolar modo sottolinea il recupero dell'attività pupillare. Tirando appena appena le somme, Sofia ha iniziato le stesse cure di Celeste Carrer, Salvatore Tortorelli, Gioele Genova ecc...e come loro ha cominciato subito a migliorare. La differenza tra questi bambini e Sofia sta nel fatto che, per esclusiva responsabilità del giudice del lavoro di Firenze che non è un medico né uno scienziato, Sofia, la mia Sofia, sta regredendo inesorabilmente. E sta tornando a morire. MORIRE. Eppure, gli Spedali
Civili di Brescia, prima di effettuare la prima infusione avevano firmato anche con noi un regolare protocollo d'intesa -si chiama "consenso informato"- messo a punto niente meno che dalla commissione etica degli Spedali stessi e redatto dal Dottor Porta del Reparto Trapianti. Sul foglio
che ho tra le mani proprio adesso sta scritto che la cura prevede 5 infusioni in un anno. Non una, cinque. E il dieci dicembre 2012, mezz'ora prima dell'infusione, eravamo tutti d'accordo su questo: io, mio marito,Sofia e tutto il comitato etico degli Spedali. Allora perché la direzione
torna in tribunale e si costituisce parte civile contro Sofia pur di toglierle le cure?
Adesso vi dico cosa faremo io e mio marito: tutta la guerra necessaria per ottenere l'unica possibilità di cura per Sofia. Sofia, che è una bambina di tre anni, che è una persona in carne, sangue e lacrime (troppe per la sua età). Sofia che non è un "caso" né clinico né giuridico. E' Sofia, la nostra, punto e basta. Nonostante una malattia infernale abbia distrutto di lei tutto quanto si potesse distruggere e mortificare in un essere umano.
In questo momento, nella mano sinistra tengo una foto di Sofia datata giugno 2011: è in piedi vicino al cancello di casa, ha una coroncina da principessa in testa, sorride ancora, mi guarda (vedendomi) ancora. Stava ancora bene, il mostro Leucodistrofico non era ancora comparso. Nell'altra
mano tengo il libro "Voa Voa!" (Le Lettere editore), che ho scritto per lei da quando si è ammalata. E' dedicato a Sofia e non solo. Anche a Maria Francesca, Natale, Davide e tutti glia altri piccoli sfortunati che sono stati colpiti dal mostro che non perdona. Vorrei sapere, realmente vi chiedo, come fa la Direzione di un Ospedale pubblico a costituirsi parte civile contro una bambina di 3 anni, invalida al cento per cento, che attualmente non costa allo Stato neppure un euro di cura farmacologica (perché di cure non ne esistono). Si affaccia una piccola speranza portata dalle staminali. Perché negarle il diritto di tentare una cura che le renda una briciola di dignità? Perché a me e a mio marito, madre e padre di Sofia, è stata negata la possibilità di curare nostra figlia col medesimo protocollo che invece altri piccoli pazienti stanno regolarmente portando avanti? Non si sta parlando di guarire, non si sta gridando al miracolo. Si parla di dignità.
Ripenso al giorno in cui stavo seduta in tribunale, davanti al giudice che decideva di far morire mia figlia. L'avvocato degli Spedali Civili, Dott. Mangia, si scagliava come uno squalo contro la dignità di mia figlia. Io tremavo di rabbia. Rabbia doppia perché Sofia ha già iniziato la cura, così come Celeste a suo tempo l'aveva iniziata ed ora la sta portando avanti regolarmente perché un giudice di Venezia ha alzato il pollice e deciso per lei la vita.
In "Voa Voa!" non ho voluto fare polemiche contro nessuno. non ci sono denunce. C'è solo l'amore, quello che manca tra le pareti dell'ospedale di Brescia e sul banco del tribunale di Firenze. Dalle nostre parti il libro di Sofia sta spopolando, perché è una storia vera come vera è Sofia. Come veri sono Celeste, Desirè, Gioele e tutti gli altri bambini disgraziati cui è toccato nascere malati, soprattutto malati in Italia dove la giustizia e la coerenza sono una chiacchiera da bancone del bar.
Sperando che possiate tenere in considerazione anche l'altra faccia della medaglia, quella umana, dolorosa, l'unica dove la verità risiede in pianta stabile, vi affido queste mie parole che mi auguro non vengano ignorate, se giornalismo significa ancora democrazia e confronto tra le fonti come ho
sempre sperato che fosse.
Caterina Ceccuti